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....missverstanden zu verden ist das
Schicksal von nnser Einem.
GOETHE
Mai nel mondo più mutevole e varia cosa ha esistito, del pubblico teatrale, del gran pubblico. Esso è l'accozzaglia di tutte le impazienze e di tutti i paradossi. Il più fine artista e più umile travet, cosi uniti, non hanno più spiccata la loro individualità, e dalla riunione fortuita escono i giudizi avventati e talvolta incoscienti. Evidentemente il teatro, quale attualmente esiste, non è il luogo atto ad un giudizio chiaro ed inappellabile; la minima cosa basta a far cadere un'opera d'arte ed una finezza semplicissima a portare ai cieli un lavoro meschino. Per questo ora è giudicato buon autore teatrale, in genere, colui che ha spiccato il gusto dell'eleganza. E la cosa ha ragion d'essere. Non è forse così che, nella vita, si danno i primi giudizi? ed, in teatro, ove le immagini e le azioni si succedono rapide, e dove il pubblico non ama di ripensare quel che ha udito e crede di aver apprezzato nel giusto valore, appunto è la prima impressione quella che conta. Ma che questo accada è naturale si, ma non è giusto, ed accade, a parer mio, solo perchè con troppo diversi intendimenti i varii spettatori si recano al teatro.
V'è, per esempio, e questa è la maggioranza, il pubblico che si reca al teatro con la onesta intenzione di ridere e di divertirsi, di riposare la mente dal lavoro della giornata; che adora la pochade, ama la commedia e disprezza, anzi odia veramente il drama o, per lo meno, quel drama sano che da la vera sensazione della vita; sopporta poi, anzi qualche volta addirittura ne è entusiasta, il dramma a forti tinte come «Tosca» «Patria» e tutta la simile coorte di Sardou e compni. E questo è, senza dubbio il maggior nemico del buon teatro e delle buone produzioni. Di questi tali, ad esempio, quale e quello che apprezza «Spettri» «Anime Solitarie» e, per dire di un genere affatto diverso ma non meno sano, «I disonesti» «Realtà» ecc..? Questo è il pubblico che non ama pensare, riflettere, vivere con li attori o coi cantanti, che non si vuol dar la pena di capire la preghiera di Elsa nel «Lohengrin» e per contentare il quale qualche artista ha avuto uno slancio di enfasi rettorica o di gusto dozzinale. Chi per esempio, di questi che vivono «senza infamia e senza lodo» non è stato commosso a quel «Lasciate almeno alle nostre donne la libertà di morir di dolore!» che chiude il primo atto di «Romanticismo» od alla furbescamente arcadica introduzione terza della «Tosca?» Ma quanti, quanti hanno apprezzata la dolcissima premura che è nelle ultime parole di Anna nel I° atto della «Citta Morta»:
«Guarda nutrice cerca là. C'è un'allodola morta»?
E guai se a questa gente salta estro di dir la sua con aria di sentenza inappellabile! Se ne ebbe un esempio nella seconda recita di quel nostro teatro sperimentale ove quasi quasi si tentava di far risorgere quelli zoppicanti e falsi «Ladri» e non si apprezzava esilarante, finissima traduzione di «Boubouroche». È questo genere di pubblico, ripeto, il maggior nemico del buon teatro e poichè è in maggioranza è lui, naturalmente, che fa la pioggia ed il bel tempo. Bisogna confessare però che tal gente si è ora leggermente, insensibilmente, modificata in favore di uno dei più chiari interpreti nostri. Nel suo corso di recite, dal 1900 al 1901, al Niccolini, nei giorni feriali, Ermete Zacconi vedeva il teatro quasi vuoto del tutto. Soltanto il pubblico domenicale accorreva volenteroso, intelligente, attento. Erano in genere le masse rudi delli uomini rotti al lavoro ed alla fatica che sapevano apprezzare; ma, alla recita del lunedì, nel teatro, verità desolante, non si arrivavano a contare più di cinquanta persone. Recentemente, nel gennaio ultimo scorso, invece, benchè il teatro, raramente sia stato pienissimo, pur nonostante molta gente accorreva a sentire Zacconi, applaudiva si entusiasmava al bello ed al buono; ma è un caso unico un solo attore che si sà apprezzare; perchè io sono sicuro che se intraprendesse, da noi un altro corso di recite Alfredo de Sanctis, il più compito dei nostri attori giovini dopo Ermete Zacconi, il pubblico tornerebbe a brontolare e le platee si vuoterebbero di nuovo. Questo nel numero maggiore di spettatori suol verificarsi; trovate tal gente generalmente nella platea; qualche volta, raramente, osa ascendere fino al terzo ordine dei palchi, lasciando però quasi sempre liberi i primi due ordini per la seconda, meno numerosa ma forse più potente, categoria di spettatori.
E questa è quella delli aristocratici blasès e delle signore alla moda. Volete ben conoscerla ed apprezzarla nel puro suo valore? Sacrificate il primo atto della commedia o dell'opera ed osservate attentamente nei palchi. Quando lo spettacolo e già incominciato da un pezzo, incominciano ad arrivare rumorosamente dame e signori ed allora guai a colui che s'interessa dello spettacolo! Tutta quella gente, che nei saloni e nella via fa sfoggio della più austera educazione, giunta in teatro si crede in dovere di essere di una villania incredibile. Ricorderò sempre, nettamente, una
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delle più graziose signore della nostra aristocrazia che non si chetò un momento durante tutta una rappresentazione della a «Gioconda». E questa cosa si tollera assai dal pubblico benchè qualche volta una nutrita protesta di zittii valga a far tacere le risate troppo forti od i commenti troppo alti sulle toilettes delle vicine. Ridicolissimo poi è il giudizio di questa seconda categoria di spettatori che vorrebbe dettar legge. Ricorderò sempre l'audace accanimento col quale i signori del secondo ordine protestavano alla prima esecuzione delle «Due Coscienze». Le signore soprattutto, che tengono a passare per intellettuali, danno i giudizi con una sicurezza da sbalordire e dicendo delle cose enormi con una disinvoltura che fa spavento. Loro grande affezione è la pochàde e soprattutto le spose giovani sogliono accorrervi ansiose di ascoltare le produzioni interdette alle signorine e di trovarsi in un insieme di vecchi impenitenti e di donnine di piacere. Ma se vogliono lasciare, con alto intendimento artistico, la sconcezza tutta francese della «Dame de chez Maxime» del «Paradiso» e simili per una rappresentazione di «Spettri» o di «Pane altrui» sono capacissime (ed io stesso ho ascoltato più di una volta il giudizio severo) di dichiarare che «non e roba divertente con quella mancanza assoluta d'intreccio.»
In ultimo, piccola, gloriosa schiera combattente, vengono quei pochi pei quali il teatro non è, e non deve rimanere che una manifestazione d'arte, una scuola per la vita, un sollievo intellettuale. Ma questi sono dei disgraziati; non si lascia a loro pace. Se un avvenimento artistico importante li unisce e li affratella in un teatro, tranquilli, sicuri della pace necessaria, d'un tratto viene ad interrompere la serenità dell'ora di alto godimento intellettuale una schiera di spettatori della seconda categoria: guidati dalla moda recente, ridicolissima, di doversi recare ad ogni prima rappresentazione. Allora li aristocratici, dal sistema nervoso indebolito per la vita affemminata, non arrivano a capire una parola e con quella prepotenza che caratterizza li uomini di mondo, ridono, scherzano, zittiscono e la rappresentazione prende una brutta piega e l'opera d'arte viene mozzata, deturpata, annientata. È questo il difetto più deplorevole e più tremendo nel pubblico: intolleranza! Ma lasciate un poco a noi la libertà come noi ve la lasciamo; veniamo noi forse a zittirvi le pochàdes che valgono ad eccitarvi per la notte imminente? Lasciate che si apprezzi e che si ami quel che voi non riuscite, per le vostre scarse facoltà intellettuali, ad apprezzare ed ad amare! Non è cento volte più desiderabile quella cara Luisa Donnat che, nel «Nuovo Idolo» del de Curel, conosciuto il sacrificio del marito, torna a lui con tutto il suo ardore giovanile che non quella sconcia e sfatta La Crevette? Ci accusate di amare troppo le donnine isteriche e sentimentali? È perchè noi sappiamo apprezzarlo un cuore di donna che ci capisca, voi non potete che piegarvi dinanzi alla nudità od alla opulenza delle forme! Amiamo anche noi il nudo, anzi lo adoriamo, ma il nudo che ci porti un'idea, un significato; non il nudo atto solo all'eccitazione sessuale delli impotenti e dei rammolliti!
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